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Rapsodie del carretto - canto V

V


Carrettiere.

Ripresi il carco

 e al monte m’avviai”

 (Eneide II, 1298).

Mort'è 'l meriggio ormai, e una salita,

in cima a un irto colle terminando,

rivela in sommo qual meta gradita

castello ritto e auster, meravigliando


quei che ‘l carretto non ritenne in canto 5

e come in sogno versi appunta e ‘ntona

apparecchiando pur da terra un manto

 di stelle, ancelle ch’a la luna fan corona.


Ma, scempi d’arpie non risparmiano

a’ carro l’assedio di povere rote, 10

stridule fetide penne in picchiata

sono del loco a guardia devote.


Mantello si faccia corazza

che notte d’ardor non infiamma,


se pure l’ostello ha di gelo l’insegna 15

e a retro il pensiero invano s’ingegna,


 il carro qual madre ch’attende

 le notti d'attesa assai bene comprende:


che tenda la rota si faccia

ne l’ora in cui tutto si taccia, 20

a valle o sul colle il sonno n’abbraccia.


Com’ape il chiostro sòl lassar in stuolo

ma a l’aria, pronta scioglie la pariglia,

tale s’affretta, son già l’augelli in volo,

a trovar strada ch’al castello piglia 25


  d’un carretto l’auriga ch’or non sape

come menare guerra e trovar pace:

Un mulo da battaglia ne’ poemi non càpe,

e a l’arme il viaggiator non più è capace,


brando non scorge né ha fatato anello  30

 né sa se lì è signore o negromante,

aurora imbianca e non si dà sentiero


 né via che per secur rechi al maniero.

E a’ Re che ‘l fango volger sa in diamante,

l’anima ardita impetra un ritornello:  35


Carrettiere

- Solo io sono e nudo son di maglia

né varchi ancor si mostrano a la vista,

stian l’occhi ritti al ciel ove si vaglia

qual grazia venga mai da tal conquista.


Ma ‘l passo invano move ‘l pellegrino 40

ché la salita per nulla s’avaccia,

notte l’avvolge e un metro di cammino

 ei non guadagna avanti a la sua faccia,


altiero il gran palazzo lo sovrasta

e, qual sortilegio che voluntade offende, 45

  nulla si presta non scala, sasso o asta

la meta in suso resta, mai non scende.


Un giovinetto, però, coperto d’un lenzòlo,

 leggiero al monte andò sanza sospetto

e nell’andar a dito segnò il sòlo 50

  donde terra s’aprì, vanìo ‘l carretto.


Gran maraviglia in fondo s’appresenta

 e lumi e marmi, e brillan più dell’oro,

dentro al castello, non è grotta questa,


da’ basso ei giunse infin e non da cresta, 55

 ma d’esser giunto lasso s’accontenta

e ingegna d’esplorar fra quel decoro.


Sarà tal quel d’Atlante il gran maniero

che l’invisibile padrone della stanza

d’ognun che trase domina il pensiero? 60


o in pompa accoglierà qual fosse amanza

l’accorto e assai prudente forestiero

che pur tra mille insidie ancor s’avanza?


E camere intra camere vagando

(cercando il vano) 65

 ciascun varca porte su porte

e sale appresso a sale traversando

 il piede appoggia invano,

sola s’alleta la cattiva sorte.


Carrettiere

- L’inutile avanzare fia la pena 70

  ch’al purgator m’attende

da lo jorno che solo

  il buon Dio sape e tien in conto

o è grazie alla costanza sanza premio

che di nuovo potrò, come poc’anze, 75

   alcuna volta star per poi cantarne

al cospetto d’un padre nel periglio?

 

Fìlan discrete muse rapsodie, intanto,

la spola sul telaio rincorre il canto. 


Buscador de rimas 11/05/a.D. 2025 


Immagine: "Il castello di Atlante", di Gustave Doré.



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